La storia racconta il tragico amore tra Parisina Malatesta, giovane moglie di Niccolò III d’Este, e il figliastro Ugo: scoperti, i due vennero condannati e decapitati il 21 maggio 1425.
La collaborazione tra D’Annunzio e Mascagni, intensa e tormentata, sfociò persino in una contesa legale quando il Vate decise di rappresentare autonomamente la tragedia in prosa. La Parisina dannunziana – che peraltro si inseriva in una incompiuta trilogia dei Malatesti, in cui era stata preceduta dall’opera Francesca da Rimini e che sarebbe stata completata con la stesura di Sigismondo, in realtà mai redatta né iniziata – testimonia quanto, ancora agli inizi del Novecento, il Medioevo continuasse a esercitare un fascino profondo sull’immaginario collettivo, capace di ispirare artisti di diversa formazione e sensibilità.
Il tema di Parisina divenne così un laboratorio creativo in cui letteratura, musica, scenografia e arti figurative dialogavano tra loro. Il percorso espositivo accompagna il visitatore tra libretti d’opera, cartoline promozionali di Plinio Nomellini e bozzetti per costumi di scena di Mario Pompei (1926), restituendo la vitalità di un Medioevo reinventato e teatrale.
Le vicende della tragedia rispecchiano l’evoluzione stessa del progetto dannunziano. Appunti sulla figura di Parisina compaiono già nel 1898, poi approfonditi in soggiorni ferraresi e nei contatti con intellettuali locali. Solo nel 1906, tuttavia, D’Annunzio riprese la scrittura dell’opera, introducendo la figura di Stella dell’Assassino, madre di Ugo d’Este, e annunciando all’editore Ricordi il desiderio di coinvolgere Giacomo Puccini nella composizione musicale. Sfumatane la collaborazione, fu sempre Ricordi a proporre l’incontro con Mascagni, da cui nacque la versione definitiva.
La prima assoluta andò in scena il 15 dicembre 1913 al Teatro alla Scala di Milano, con scenografie di Odoardo Rovescalli e costumi di Caramba. L’accoglienza fu trionfale, anche se le repliche successive evidenziarono alcune perplessità per la lunghezza della tragedia, ridotta poi di un intero atto. Le tensioni tra librettista e compositore portarono alla rottura: D’Annunzio ripresentò l’opera in forma di prosa al Teatro Argentina di Roma nel 1921, vincendo la disputa legale con Mascagni. Nel 1926, al Teatro Odescalchi di Roma, l’opera tornò in scena con un nuovo allestimento curato interamente da Mario Pompei, autore delle scenografie e dei costumi i cui bozzetti sono oggi esposti in mostra.
I disegni e i bozzetti di Pompei rivelano una visione diversa del Medioevo: non più la rievocazione pittoresca dell’Ottocento, ma un’interpretazione sospesa e rarefatta, in sintonia con le ricerche estetiche e teatrali del primo Novecento. Le linee essenziali, i toni morbidi, le atmosfere immateriali restituiscono un Medioevo filtrato attraverso la sensibilità simbolista e modernista. Non a caso, Tommaso Filippo Marinetti lodò la modernità e la forza visiva di questo allestimento, riconoscendovi una nuova grammatica scenografica.
Al tempo stesso, i lavori di Pompei testimoniano la versatilità di un artista eclettico, capace di spaziare tra arti “alte” e cultura popolare. Nato come scenografo per il teatro di burattini, divenne in breve protagonista della scena nazionale e internazionale, autore di scenografie, drammi, manifesti e illustrazioni. Sua è la creazione del personaggio di Pinco Pallino, icona dell’editoria per l’infanzia, emblema di una creatività libera e poliedrica.